Parma - Fondazione Teatro Regio

In origine Nuovo Teatro Ducale, il Teatro Regio di Parma nasce per volontà della duchessa Maria Luigia d’Asburgo-Lorena, moglie di Napoleone, inviata a reggere il Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla dopo il Congresso di Vienna. Iniziati i lavori nel 1821 su progetto dell’architetto di corte Nicola Bettoli, il Teatro inaugura il 16 maggio 1829 con Zaira, opera di Vincenzo Bellini su libretto di Felice Romani.

In stile neoclassico, la facciata è caratterizzata da un colonnato di ordine ionico e da un’ampia finestra termale che si apre nella parte alta. Superato l’atrio, si accede alla Sala del Foyer, scandita da due file di quattro colonne, sul pavimento del quale sono visibili le botole da cui veniva diffuso il riscaldamento. Una scalinata porta alla Sala del Ridotto, dov’era il trono di Maria Luigia, che poteva accedervi direttamente dalle stanze del Palazzo Ducale.

Dalla volta dipinta scendono due lampadari a goccia in vetro soffiato e dall’alto si affacciano i matronei che ospitavano le orchestre da ballo. Tornando nel foyer, attraversato il portale d’onore, si entra nel cuore dell’edificio: la sala, con la platea, quattro ordini di palco e il loggione, è sovrastata dal soffitto dipinto da Giovan Battista Borghesi nel quale, disposti in cerchio intorno all’ “astrolampo”, il grande lampadario in bronzo dorato forgiato dalle officine Lacarrière di Parigi, stanno poeti e drammaturghi. Il sipario dipinto, uno dei pochi esempi giunti fino a noi, è anch’esso opera del Borghesi: una popolata allegoria della Sapienza, con Minerva assisa in trono circondata da dèi, ninfe, poeti e muse mostra, nelle sembianze della dea, il ritratto di Maria Luigia. In alto, un orologio “a luce”, che segna l’ora di cinque in cinque minuti, è posto al centro dell’architrave del proscenio, arricchito dai busti dorati di poeti e compositori.

L’aspetto della sala oggi è molto diverso dall’originale: nel 1853 il décor in stile neoclassico, progettato da Paolo Toschi è ricoperto dagli stucchi e dalle dorature di Girolamo Magnani (decoratore che Verdi volle spesso al suo fianco in qualità di scenografo) che, su incarico di Carlo III di Borbone, rinnova la veste dell’ormai Teatro Regio secondo lo stile neorinascimentale.

Nello stesso anno il nuovo lampadario, ridimensionato nel 1913 per migliorare la visibilità dal loggione, inaugura l’impianto di illuminazione a gas che sostituisce il vecchio sistema con candele e lampade a olio, mentre l’illuminazione elettrica arriverà nel 1890. La camera acustica dipinta da Giuseppe Carmignani, uno fra i rari esempi sopravvissuti all’uso e al tempo, riprende le decorazioni dei palchi e si compone di pannelli di canapa montanti su cornici lignee, componibili telescopicamente per servire le più diverse formazioni orchestrali.

In origine il Teatro è destinato ad accogliere i più vari generi di spettacolo, dall’opera alla danza, dalla declamazione poetica alle forme di “arte varia” più diverse (funambolismo e prove ginniche, numeri con animali ammaestrati, dimostrazioni scientifiche, illusionismo, esposizione di “curiosità”). Sin dalla sua inaugurazione è testimone e protagonista dei cruciali cambiamenti che investono il melodramma durante l’Ottocento e il secolo successivo, dalla fine dell’epoca legata al nome di Rossini alla supremazia del repertorio verdiano, dall’apertura alle esperienze francesi e tedesche, all’estrema evoluzione in senso realistico dell’opera italiana con Mascagni, Leoncavallo e Puccini.

Quest’opera di Giovan Battista Borghesi (Parma 1790 – 1846) rappresenta una scena allegorica divisa in tre parti. A destra Maria Luigia dipinta come Minerva, in trono con i simboli del suo potere, l’elmo piumato, il mantello e lo staff del potere. Ai suoi piedi c’è il gufo, sacro alla Dea e a destra una ninfa guarda lo scudo che giace a terra, simbolo di pace. Dietro si possono vedere le allegorie di Abbondanza, Giustizia e Pace. Nelle vicinanze si trovano Ercole e Dejanira mentre sopra di loro in un cerchio ininterrotto sono dipinte le ore, simbolo dell’eternità del tempo.

Dietro la Dea si possono vedere figure umane che suonano la lira che rappresentano soggetti cari alla Duchessa, amante della musica e del canto. A sinistra del dipinto, le altezze del Parnaso popolate da divinità e spiriti. Apollo nel centro sta suonando la lira e ai suoi piedi si vede un leone cullato dalla musica divina. Più in là ci sono le Grazie e vicino al boschetto di alberi i poeti Pindaro, Omero, Virgilio, Ovidio e Dante.

A sinistra di Apollo tre muse: Talia, che rappresenta la commedia e porta una maschera, Melpomene, musa della tragedia che porta un pugnale, ed Euterpe musa della musica che porta una lira sulla sua spalla. Nascosto dietro un albero, quasi minaccioso e trattenendo le sue pipe, Marsia, sconfitta da Apollo in una competizione musicale. Al centro della scena, che si sforza di essere liberato dalle muse, è Pegaso, il cavallo alato nato dal sangue di Medusa, che con un potente calcio ha liberato la saggezza e la poesia dalla roccia. E’ come se Pegaso avanzasse verso gli spettatori portando di nuovo il suo dono all’umanità.

Giovan Battista Borghesi (Parma 1790 – 1846) ha studiato a Parma presso la scuola di Biagio Martini. Intorno al 1815 dipinse Omero, spiegando l’Iliade in varie stanze del Palazzo Ducale di Colorno. Dipinse molte opere per le chiese di Parma: nel 1823la pala d’altare per l’Oratorio dei Rossi fu premiata con un sussidio ducale che gli permise di recarsi a Roma dove, nel corso di due anni, dipinse un certo numero di scenografie per il Teatro Argentina. Tornato a Parma si fermò a Perugia e Firenze dove, tra l’altro e ispirandosi a opere simili di Raffaello e Sustermans, dipinse ritratti di La Fornarina e Galileo. Tornato a Parma nel 1830, fu nominato professore di pittura all’Accademia di Belle Arti. Restaurò gli affreschi del Parmigianino a Fontanellato e dipinse poi quelli che sono considerati i suoi capolavori: il ritratto di Maria Luigia che è oggi nella Galleria Nazionale di Parma, il soffitto e il sipario del Teatro Regio, e il soffitto della terza sala di la Biblioteca Palatina.

Dipinta da Giuseppe Carmignani (1871-1943) la camera è composta da pannelli di diversa forma e dimensioni per una superficie totale di 320 mq. I pannelli di tela sono montati su legno e possono essere assemblati per complessi di orchestra di dimensioni diverse. Il dipinto riproduce elementi di stucco e intarsio utilizzati nella decorazione delle scatole nel teatro ed è stato realizzato a tempera con colori in polvere legati con colla a base animale. Il dipinto è stato eseguito direttamente sulla tela senza strato preparatorio, che normalmente sarebbe stato fatto con gesso e colla animale, al fine di preservare la natura leggera dei pannelli.

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Info e contatti Fondazione Teatro Regio di Parma

Tipologia ente: Teatro

strada Garibaldi, 16/a 43121 Parma – Italia | https://www.teatroregioparma.it/

L'ente è regolarmente iscritto all'edizione dell'anno corrente.

L'ente provvede autonomamente alla selezione degli artisti.

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